Era l’inverno più rigido
degli ultimi vent’anni.
Nonostante la primavera
fosse ormai alle porte, la neve non accennava a sciogliersi e il suo manto
bianco ricopriva ancora tutta la steppa.
Ma il freddo era il minore
dei problemi.
Il cibo scarseggiava e
anche gli animali più adattabili avevano iniziato a spingersi sempre di più
dentro al bosco pur di trovare qualcosa per sopravvivere.
Le orme dei due sciacalli
segnavano sulla neve il percorso esatto che avevano fatto per giungere fin là.
Quello più anziano aveva
il pelo ormai rado, mentre il più giovane era senza un occhio.
Quando videro due grosse
buche nella roccia davanti a loro, si fermarono.
Due bellissime lupe
uscirono, da lì a poco, da quei pertugi e corsero via in direzioni opposte.
-
Abbiamo trovato
del cibo – disse il lupo più anziano.
-
Lupi? È una
follia! Sono più forti di noi. Ci ho già rimesso un occhio con uno di quelle
belve. Con la fortuna che ho, sarò io a sfamare loro.
-
Guarda meglio.
Lo sciacallo più giovane
strinse l’unico occhio sano e li vide.
Dentro le due buche
c’erano altrettanti cuccioli di lupo, uno per tana.
-
Ho capito! Vuoi
attaccare i piccoli. Loro sono indifesi.
-
E ne potremo
scegliere uno per uno.
In quel mentre le madri
dei cuccioli tornarono ognuna con una preda tra le fauci. La lupa della tana di
sinistra si fermò davanti al pertugio, e incominciò a mangiare il cibo che
aveva in bocca, mentre l’altra entrò decisa nella sua buca.
Lo sciacallo più giovane
sorrise.
-
Amico mio, tu sei
vecchio e debole ormai, e i tuoi giorni sono contati in ogni caso. Quindi, se
non ti dispiace, sceglierei io per primo la mia preda. Io mangerò il cucciolo
che abita la tana di sinistra.
Lo sciacallo più anziano
non disse niente. Semplicemente, annuì.
Passarono i giorni e lo
sciacallo più giovane era sempre più convinto della sua scelta.
Ogni volta che le due lupe
tornavano con del cibo, quella che trovava suo rifugio nel pertugio di sinistra
si fermava fuori a mangiare quello che aveva cacciato, mentre l’altra entrava
diretta per nutrire il piccolo.
Così facendo, il
lupacchiotto scelto dallo sciacallo orbo sarebbe stato presto debole e
denutrito, non sarebbe stato in grado né di fuggire né, tantomeno, di difendersi, e forse addirittura la madre stessa lo avrebbe rifiutato rendendolo
così un’ancor più facile preda per lui.
L’inverno finalmente scelse
di cedere il passo alla primavera.
La neve si sciolse.
E venne il giorno in cui i
due sciacalli decisero di sferrare il loro attacco ai cuccioli di lupo.
Aspettarono che le madri
uscissero, poi entrarono nelle tane che avevano scelto.
Lo sciacallo anziano si
trovò davanti un cucciolo in carne, perfettamente in salute.
Lo sciacallo giovane si
trovò davanti un cucciolo molto magro, ma altrettanto in salute.
Nessuno dei due però
riuscì ad azzannare la propria preda perché, alle loro spalle, le madri erano
tornate per proteggere i loro cuccioli.
I denti digrignati e gli
occhi iniettati di sangue, entrambe agguerrite, entrarono nelle rispettive
tane.
Passarono infiniti attimi
sospesi senza che nessuno uscisse dalle due buche scavate nella roccia.
Poi, dalla tana di destra,
si affacciò lo sciacallo anziano spingendo con le zampe anteriori il cadavere
della lupa e con in bocca il cucciolo morto.
Si sedette al sole, lì di
fronte, e iniziò a consumare il pasto a lungo agognato.
Dalla tana di sinistra
invece uscì il lupacchiotto, magrolino e denutrito, ma felice.
Immediatamente dopo arrivò
la madre, con in bocca il corpo dello sciacallo orbo in fin di vita.
Senza alzare la bocca dal
suo pasto, l’anziano commentò:
-
Tu non hai davvero
feeling con i lupi, eh…
Lo sciacallo giovane non
aveva più un filo di voce, ma provò comunque a ribattere.
-
Non capisco
perché sia finita così. Il mio piano era perfetto.
-
Non lo era
invece. La madre della preda che mi hai lasciato portava tutto il cibo al suo
piccolo pensando che fosse quella la cosa importante. Quella che hai scelto tu
invece sapeva bene che sarebbe stata lei a dover salvare il suo piccolino. Per
quello si nutriva prima di entrare nella tana. Per rimanere sana, e in forze.
Solo così avrebbe potuto continuare a cibare e proteggere il suo cucciolo.
-
La lupa che hai
affrontato era ormai debole, stremata. La mia forte e sana. Ed eccomi qua. Ho sbagliato su tutto.
-
No, su una cosa
hai avuto ragione. Sarai tu a sfamare loro. Anche se in questo caso non si
tratta di fortuna, ma solo di lungimiranza.
La lupa strinse i denti
attorno al collo dello sciacallo più giovane, spezzandolo. Poi si rivolse a
quello anziano.
-
Il fatto che tu
sia più intelligente del tuo amico che stringo tra i denti, non ti rende
gradito a questo desco. Quella che stai mangiando è mia sorella. La natura ha
fatto il suo corso, ma ora allontanati e toglimi dal soffrire questo strazio.
-
Perché, se questa
è tua sorella, non le hai spiegato che sarebbe potuta finire in questo modo mantenendo quel comportamento?
-
Più volte l’ho
fatto, e più volte ci siamo azzannate per questo motivo. Ma anche se alla fine
la sua scelta si è rivelata sbagliata, non ha mai amato suo figlio meno di
quanto io ami il mio, e non è finita tra le tue fauci per sua decisione o per
autolesionismo.
Lo sciacallo anziano non
disse altro. Si alzò, prese fra i denti le sue prede, e trascinandole, si
allontanò.
Il cucciolo di lupo iniziò
ad addentare il corpo inerme dello sciacallo più giovane, poi si fermò un
istante ad osservare le macchie di sangue lì vicino.
-
Dove ha sbagliato
la zia, mamma?
-
Sì è spaventata
perché sentiva tuo cugino lamentarsi, per il freddo, per la fame, e si è tolta
tutto per darlo a lui. Ha pensato solo all’oggi e non al domani.
-
Anch’io mi
lamentavo per il freddo e per la fame. Tu non hai mai avuto paura per me?
-
Ogni giorno,
cucciolo. Ogni maledetto giorno. E mi straziava il cuore sentirti piangere in
quel modo.
-
Sai, spesso non
capivo…
-
Lo so. E ne ero
terrorizzata. Ero spaventata da quello che avresti potuto pensare di me. Però, adesso
che è tornata la primavera, sono felice.
-
Perché, mamma?
La lupa non rispose, si
alzò in piedi e iniziò a correre.
Il cucciolo subito fece lo
stesso.
Iniziò a seguirla, in
mezzo al prato, in mezzo al verde, dove i fiori iniziavano a spuntare, ridendo,
ridendo, ridendo e ridendo ancora, sempre più forte.
-
Perché se tu
avessi giudicato il mio gesto durante l’inverno, attanagliato dal freddo e in
preda ai morsi della fame, mi avresti odiata. Ma ora tu puoi correre felice. E
ridere. Dovevi arrivare a oggi per capire. Dovevi passare il dolore, insieme a
me. Questo è il significato ultimo del mio gesto e sono sicura che tu hai
capito tutto quello che ho fatto e perché.
-
L’ho capito,
mamma… non piangere adesso.
-
Piango perché lo
so. Infine lo vedo. E tutta la mia paura, tutta la mia sofferenza, ora,
finalmente… sono scomparse.
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